10. Cabo Verde
- SY JollyJumper
- Apr 6, 2019
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L’arcipelago di Capo Verde si trova a circa 500 miglia dalla costa occidentale dell’Africa. Le dieci isole vulcaniche sono formate come un ferro di cavallo volto verso l’oceano atlantico. Un tempo una colonia portoghese, oggi la repubblica di Capo Verde è un paese democratico e probabilmente il più stabile del continente africano. La lingua ufficiale è sempre il portoghese, ma oggi viene parlato il creolo capoverdiano, molto simile al portoghese. Il francese è sempre stata la seconda lingua insegnata, quindi tanti lo parlano. Ma parlando l’italiano siamo riusciti a capirci sia per strada che comprando frutta e verdura sul mercato, dato che come misure vengono usate solo chilo e mezzo chilo, dalle bilance infatti non si capisce più di tanto.
Ma cominciamo dall’inizio…
Dopo otto giorni di navigazione verso sud, siamo arrivati alle isole di Capo Verde il 21 dicembre alle 3 di notte. Non conoscendo il posto ci siamo avvicinati con cautela alla baia di Palmeira sull’isola di Sal, ma grazie alla luna piena ci è stato possibile gettare l’ancora su cinque metri di sabbia tra le altre barche ancorate. Eccoci arrivati in Africa! Tutti, ma specialmente la comandante, sono un po’ nervosi, dato che è la prima tappa in un paese dove per entrare sono necessarie formalità burocratiche. Al mattino seguente è passata una barchetta con dentro degli altri naviganti come noi e DJ, un uomo di Palmeira ci ha offerto i suoi servizi: barca-taxi, portare a terra la spazzatura e riempire le bottiglie di gas. La baia bella grande e tranquilla è ideale per accogliere barche a vela in rotta verso i Caraibi. Noi decidemmo di andare a terra col nostro gommone. Karim, ragazzo svizzero con noi dalle canarie fino ai caraibi, portò a terra Dani (altro ragazzo con noi da Gibilterra, sceso a Capo Verde) e me. Ci lascio al centro del porto dove i pescatori stavano pulendo il pesce pescato nella notte precedente. Quindi i primi passi su terra africana furono inzuppati di sangue e squame, ma passati quei pochi metri ci ritrovammo tra le piccole case colorate con gente che andava di qua e di là… ma senza stress. Infatti, lo slogan delle isole è NO STRESS, si trova su ogni souvenir, maglia, calamita o braccialetti. Ed è veramente così che si vive qua. Anzi, anche troppo. Purtroppo c’è tanta gente senza lavoro che si dà alla birra o di più già dal mattino. La nostra missione a terra era di andare dalla polizia per l’immigrazione e dalla polizia marittima per dichiarare la barca, poi volevamo prelevare del denaro locale, degli escudo, e comprare una SIM da usare col telefonino. Internet rispettivamente wifi non c’era da aspettarsi. Grazie alla descrizione sulla nostra guida marittima, dopo pochi minuti eravamo già seduti di fronte ad un poliziotto a riempire formulari. Il lavoro che ogni comandate conosce, più equipaggio c’è, più c’è da scrivere. Dopo aver riempito altri formulari per la polizia marittima eravamo finalmente liberi di girare per l’isola di Sal. A Capo Verde, in confronto ad altri paesi, bisogna annunciarsi alla polizia marittima su ogni nuova isola che si visita in barca a vela.
Un tempo i porti delle isole furono abbastanza ben serviti e ci facevano scalo le grandi navi in rotta per le Americhe, per non parlare del tempo della schiavitù, dove le isole servivano da centro di smistamento. Oggi ogni isola ha il proprio aeroporto ed i collegamenti via mare tra le isole sono molto ridotti. Per esempio, tra l’isola di Sal e Boavista, prossima isola a sud distante cira 50 km, l’aereo è l’unico mezzo pubblico disponibile. Il quale, si ci può immaginare, come prezzo non è proprio a portata di mano del capoverdiano medio. Parlando con la gente si scopre, che le famiglie sono sparse per le isole, tanti si spostano per sposarsi o trovare lavoro. Ma poi, anche se le distanze sono piccole, non si possono vedere per degli anni a causa della mancanza di un trasporto pubblico per la gente locale. Questa cosa ci rattristisce un po’, e avendo i mezzi ci metteremo a fare il servizio traghetti.
I nostri primi giorni furono di ambientamento. Il paese, anche se per standard africani molto stabile, è pur sempre povero ed i rifornimenti dei negozi sono limitati e dipendono dei cargo che arrivano ogni tanto. Si trova, se si cerca ed è disposto a pagare, tutto il necessario, ma a modo ridotto. Per esempio, i cubetti di brodo si vendono al pezzo. I prezzi ci sembrano abbastanza alti, ma essendo un’isola senza grandi piantagioni e neanche una sorgente d’acqua, è normale. La maggior parte dei negozi appartengono ai cinesi, sono loro i lavoratori del settore. Frutta e verdura invece viene quasi tutta venduta sul mercato o per la strada. Le donne girano per le strade con delle grandi ceste sulla testa, come da noi un tempo. Qui la gente vive molto di più in strada che in Europa, specialmente nel weekend. Ogni domenica sera a Palmeira c’è festa per strada con musica e barbecue ad ogni angolo. Ci sono spiedini di maiale o pollo allevato nel cortile dietro casa. Tutto ottimo e devo dire che non abbiamo mai avuto dei problemi per il cibo, sia comprato che nei ristoranti.
Passeggiando per il paese incontriamo tanti bambini che giocano per strada o nei parchi. Dalia ed Alexa vengono subito prese per mano ed accompagnate dallo scivolo o l’altalena. Alexa è un po’ più timida, ma Dalia parte e senza farsi problemi per la lingua sprofonda nel gioco con una banda di bambine più grandi di lei. Quello che ci disturba un po’ sono tutti i cani randagi e non, che girano liberamente per il paese (come su tutte le isole di Capo Verde). Tanti, si vede già da lontano, sono malati e tenere le bimbe lontani da loro non è sempre facile. A Palmeira incontriamo anche dei tedeschi e francesi che abitano lì e ci danno tanti consigli per le nostre prossime tappe nelle isole e le escursioni da fare. Un po’ per l’integrazione e un po’ per pigrizia linguistica francesi e tedeschi parlano tra di loro il creolo. Anche tramite loro ci fu possibile di far lavare il bucato. La vita con i bambini in barca, diversa da quella sulla terra ferma per tante cose, è per quello che riguarda i lavori domestici non tanto differente. Anche cercando di usare il minimo di vestiti (per esempio a tavola tutti i bimbi in pannolino o mutandine), dopo un po’ si accumula una montagna. Erano 6 settimane che non avevamo più lavato, e quindi portammo a terra i nostri grandi sacchi pieni di roba da lavare. Solo dopo il lavoro fatto ci fu detto che sono stati lavati a mano. A Palmeira la maggior parte delle case ha la corrente, ma non l’acqua. E quindi ci sono dei lavatoi come da noi una volta.
Sull’isola di Sal, come il nome già annuncia, c’è una salina naturale. La cosa interessante è che si trova dentro al cratere di un vulcano collassato. Per arrivarci bisogna prende un taxi o un bus. Noi, avventurieri, optammo per il bus, o meglio gli aluguer. Si tratta di pulmini a 12 posti che fanno dei giri più o meno definiti. Costano poco, ma spesso si muovono solo se ci sono abbastanza clienti. Noi siamo stati fortunati e siamo partiti subito, ma solo dopo aver caricato cartoni di cibo e bevande superando di sicuro il peso permesso. La salina, essendo circondata da un cratere, si può accedere tramite un tunnel scavato nella roccia. Usciti dal tunnel si ha una vista spettacolare su tutta la salina. Avvicinandoci al sale, e camminando sopra alle grandi distese bianche e brillanti ci sembrò di essere sulla neve. Continuando il nostro viaggio alla scoperta dell’isola ci fermammo per pranzo a Santa Maria. Dicono che sia la spiaggia più bella dell’isola. E con la sabbia bianca ed il mare di un verde azzurro magari lo è anche, ma la abbondanza di negozi souvenir e la piena di turisti non ci fece sentire molto a nostro agio. Dell’ isola di Sal teniamo un bel ricordo della gente, molto gentile e contenta di vedere turisti per le strade e non barricati nei resort. Ma il paesaggio è molto arrido e non offre più di un deserto esteso per l’isola.
Dopo aver passato un Natale tranquillo in barca, decidemmo di continuare per Boavista, l’isola a sud di Sal. Ma prima di lasciare il territorio di Sal, ci fermammo una notte ancorati davanti a Santa Maria per lasciar andare a terra Dani, che dopo due mesi e mezzo trascorsi con noi, ci lasciò per proseguire il suo viaggio con la terra ferma sotto i piedi. Al mattino presto del 29 dicembre, issammo dunque di nuovo l’ancora con rotta verso la baia di Sal Rei su Boavista. Davanti a Sal Rei si trova l’isolotto di Sal Rei. La sua forma e posizione protegge per la maggior parte del tempo la baia, offrendo un ancoraggio sicuro a chi vuol fermarsi con la barca a vela. A causa delle secce tra l’isoletta e la terra ferma bisogna ancorare a sud della baia. L’unico svantaggio è un viaggio più lungo col gommone. Anche lì, la prima visita fu dalla polizia marittima. Ma questa volta l’attesa fu molto più lunga, infatti Alina tornò solo col buio.
Boavista e Sal Rei, la capitale, sono molto più turistiche che l’isola di Sal. Infatti ci sono tanti resort e spiagge attrezzate. Finalmente anche noi andiamo un po in spiaggia, anche se l’acqua è abbastanza freddina. Ancorati nella baia di Sal Rei ci siamo goduti un attimo di tranquillità prima dell’arrivo del nuovo equipaggio, Karim nel frattempo si faceva un po’ di vacanza a terra da degli amici. Siamo anche andati alla scoperta dell’isoletta non abitata. Da lontano la spiaggia sembra da sogni, poi avvicinandosi si vede tutta la spazzatura che viene portata dal vento e dal mare, purtroppo come in tanti posti sulle Capo Verde. Per capodanno, anche se avessimo voluto, non c’era verso di andare a terra. Già dal mattino del 30 arrivarono delle grandi onde da ovest facevano fare surf la nostra barca di 15 tonnellate. Quindi di scendere a terra col gommone non c’era neanche da provare, ci saremo presi troppa acqua. Anche una coppia simpatica di francesi, con l’unica braca battente bandiera del Gambia di nome CLOCHARD CELESTE, rimase bloccata in barca. Restammo in contatto.
Nell’entroterra come paesaggio Boavista non offre molto di più di Sal, e quindi appena arrivato Reto, il nostro prossimo ospite, partimmo per Sao Nicolao. Le nostre conoscenze di Palmeira ci avevano consigliato di fermarci su Sao Nicolao da un paesino un po’ isolato di nome Carriçal. Per il viaggio di circa 70 miglia decidemmo di viaggiare di notte, in modo da arrivare al sorgere del sole. Anche i nostri amici del CLOCHARD CELESTE partirono per Carriçal, e quando ci contattarono per radio (vhf) in tarda serata per chiacchierare un po’, avevamo già pescato il nostro primo (e fino ad oggi ultimo) tonno e cosi li invitammo a cena l’indomani. Preparammo una cena di sushi di tonno fresco… una delizia!
Fino a qualche anno fa c’era una grande fabbrica di tonno in scatole. Infatti l’isola di Sao Nicolao è conosciuta per l’ottimo tonno che si pesca nelle sue vicinanze. Purtroppo la fabbrica ha chiuso, lasciando il villaggio abbandonato a se stesso. La gente pesca ancora, ma di certo guadagna molto meno. Il villaggio è rimasto isolato e via terra è raggiungibile solo tramite una strada di montagna. C’è un piccolo negozio, un buchino dove vendono lo stretto necessario per vivere. Da un po’ di tempo c’è un tedesco che comprando una parte del villaggio per delle case di vacanza cerca di portare di nuovo un po’ di vita. E già arrivando, ci sembro di sentire delle voci chiamare da una di queste case. Quando poi Christoph scese per la prima volta a terra col gommone, incontro una famiglia svizzera con due maschietti della stessa età di Dalia ed Alexa. Loro erano in viaggio come noi, ma a piedi o in auto. Tra pomeriggi di gioco a terra e pranzi da noi in barca, restammo per quasi una settimana in quel posto dove non prendeva neanche il cellulare, ma per noi fu il paradiso. Alla fina il papà ed il bimbo più grande vennero con noi per la prossima tappa fino a Tarafal, la capitale dell’isola. Ma prima facemmo un ultimo giro per il paese. Lasciamo alla scuola il nostro passeggino e dei vestiti da bambino troppo piccoli a noi, sperando che a qualcuno farà piacere.
Dopo cinque ore di navigazione arrivammo nella Baia di Tarafal. Già girando il capo fummo circondati da delfini, poi, entrando ancora di più nella baia passammo tra un banco di globicefali. Fu un spettaccolo indimenticabile… specialmente per i nostri ospiti! L’ancora aveva toccato il fondo da pochi minuti, e già arrivarono due ragazzi a nuoto del catamarano vicino. Avevano una storia che li premeva di raccontare a qualcuno: Erano partiti dalle isole a sud per arrivare qui attraversando l’arcipelago in diagonale. Proprio in mezzo e naturalmente di notte sentirono un grande tonfo, e dopo poco videro una balena alla loro poppa. Insomma, erano passati sopra una balena che dormiva. Il danno era inevitabile. Cominciarono subito a prendere acqua in uno dei due scafi (il vantaggio del catamarano è che sono come due barche fino a un certo punto). Essendo dieci ragazzi a bordo riuscirono a tenere lo scafo a galla, ma l’acqua arrivava gia al motore, ma anche se il catamarano ne ha due, se funziona solo uno gira in cerchio (senza dubbio uno svantaggio di questo tipo d’imbarcazione). Cosi dovettero attivare il loro Epirb (allarme che funziona via satellite) ed aspettare gli aiuti per diverse ora. Sono tutti sani e salvi, ma fu una storia che ci diede da pensare, cosa succederebbe alla nostra barca con un simile scontro.
A Tarafal potemmo comprare delle proviste e preparaci per la prossima tappa che ci portava sull’isola si Santa Luzia. Si tratta di un’isola disabitata dove le tartarughe vanno a depositare le uova. Solo qualche pescatore ogni tanto ci passa la notte. Posata l’ancora nella grande baia di Santa Luzia, andarono a terra i ragazzi. Ma essendo con onde alte un approccio difficile e non trovando niente di speciale a terra, decidemmo di proseguire per Mindelo su Sao Vincente la mattina dopo. Partimmo, in teoria, col vento non di poppa, ma comunque abbastanza favorevole. Ma passato il capo a ovest di Santa Luzia ci trovammo il vento quasi sul naso e ci tocco a fare dei zigzag di bolina per tutto il giorno. Il vento aumentò ancora e riuscimmo a passare il capo nord di Sao Vincente solo con l’aiuto del motore. La discesa verso la baia a sud fu uno surf unico e ci divertimmo, l’ultima passeggiata in barca prima della grande traversata dell’atlantico. A Mindelo andammo subito nel porto, e dopo un mese esatto, ci attaccammo di nuovo ad un pontile. Mineldo è l’unica marina delle isole ed è per tanti l’ultimo porto prima della traversata dell’atlantico, anche se come riparazioni e materiale nautico non ci si deve aspettare troppo. Ma è ottimo per le proviste ed è una cita allegra per godersi gli ultimi giorni in africa. Specialmente è anche a poche miglia dalla bellissima isola Sant’Antao, raggiungibile in oretta in traghetto. Lasciamo Karim e Reto per qualche giorno da soli in barca per andare alla scoperta dell’isola verde. Già a San Nicolao trovammo un boschetto, ma Sant’Antao ha “montagne” e boschi con bellissime vallate verdi coltivate. Infatti è proprio quel colore che cominciava un po’ a mancarci girando per le isole, il verde. Nonostante le nuvole e le temperature basse potemmo fare una bella passeggiata da una vallata al altra. Passammo dalla creta di un vulcano per poi scendere in una vallata ripida piena di vegetazione e piantagioni di banane. Le pietre, formate dalla corrosione, ci diedero un’immagine come si trova negli opuscoli dei viaggi in Burma o Vietnam.
Tornati a Mindelo c’era da preparare la barca… e anche un po’ l’equipaggio, per la traversata. Dopo giri sui diversi mercati e supermercati e mettere tutto in barca in modo da ritrovare le cose, siamo partiti il 24 gennaio dal porto di Mindelo con destinazione America. Come previsto dalla comandante arrivammo alle Barbados dopo 17 giorni di viaggio…. Ma questo è un altro episodio.